Investire - Febbraio 2024

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MATTIOLI, OLTRE IL NOVECENTO IL “BANCHIERE DI MILANO”

S ì a colpo d’occhio, una “biografia intel lettuale” di un banchiere scomparso da mezzo secolo pareva proporsi come esercizio storiografico sofisticato, indi rizzato a una nicchia di specialisti e cul tori. Al contrario, la monografia su Raffaele Mattioli - scritta per il Mulino da Francesca Pino , responsa bile dell’archivio storico della Banca Commerciale Italiana e quindi di Intesa Sanpaolo - ha suscitato da subito un’eco culturale vasta e importante. La presentazione stessa del volume ha fatto da bari centro a un’impegnativa (e partecipata) due giorni milanese di riflessioni su molti “qui e ora” nel Miglio Quadrato ambrosiano. Che qui Mattioli sia stato pro tagonista assoluto nell’arco intero del secolo scorso è già stato raccontato per esteso e in profondità: un monumento scolpito principalmente nella posa di “banchiere umanista”. Un cliché che ha contri buito a farne precocemente una figura mitologica, già d’antan allorché - appena un decennio dopo la scomparsa, nel 1973 - anche Milano e le sue grandi banche hanno cominciato a essere scossi dai venti potenti della globalizzazione finanziaria. È stato così che la Comit - salvata e rilanciata da Mattioli nei tempestosi anni ‘30 - giusto allo scadere del secolo si è ritrovata aggregata in un gruppo di fresca na scita, che aveva già riunito due altre storiche ditte bancarie meneghine: la Cariplo e il Banco Ambro siano Veneto . Non prima di essere stata “assalita” la Comit - peraltro senza successo - dalla cugina di sempre: il Credito Italiano . Appena dieci anni pri ma di diventare a 38 anni amministratore delegato di una delle maggiori banche del Paese, supera la prima prova di economista-manager come segre tario della Camera di commercio di Milano: dove apprende sul campo il nuovo capitalismo d’impre sa nazionale e medita un nuovo corporate lending. Per il futuro amico fraterno di Benedetto Croce ed editore dei Classici Ricciardi, essere un intellettuale negli anni ‘20 vuol dire intanto redigere da cima a fondo la prima “Rivista Bancaria”, aprendo se stes so e il sistema creditizio al confronto internazionale. Il singolare “banchiere comunista” - più ammirato che osteggiato da Palmiro Togliatti negli anni ‘50

- ha ritagliato su se stesso un archetipo di manager professionale autonomo dello Stato-padrone (allora fascista): anche in questo tra lui ed Enrico Cuccia non è mai stato in dubbio chi fosse il maestro e chi l’allievo (anche se quest’ultimo riesce poi a emanci parsi). E tale è la sua indipendenza autorevole che nel dopoguerra repubblicano Roma lo respinge sia come possibile governatore della Banca d’Italia, sia come ministro del Tesoro. Ben prima, comunque, di Adriano Olivetti , Mattioli investe sugli intellettuali senza però mai trasformare la Comit in una torre d’a vorio, al contrario: Giovanni Malagodi - futuro leader liberale e ministro, direttore centrale trentenne negli anni cruciali della ristrutturazione - sforna il “modulo 253”, un pietra miliare nelle tecniche di affidamen to alle imprese, a lungo terreno d’eccellenza per la Commerciale. Il Mattioli delle “sere di via Bigli” - con futuri Nobel come Eugenio Montale - riversa nella quotidianità della Commerciale, lo stile unico delle relazioni al bilancio annuale o dei meeting di alta di rezione. Non da ultimo: Mattioli di prova da subito a fare della Commerciale una banca internazionale. Lo fermano prima il fascismo, poi la disfatta bellica (fra gli snodi più originali del volume ricco di c’è una rilettura della quasi leggendaria “missione Ortona” negli Usa nel 1944: all’origine delle fortune future di Mediobanca, alla fine meno per la Comit). Sfogliato il libro al Centro Congressi della Fondazione Cari plo, ascoltando gli interventi a margine di Giuseppe

Antonio Quaglio

Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net

Guzzetti e del presidente onorario di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli , è sembrato lecito sfidare ogni giudizio consolidato e chiedersi se Mattioli – soprattutto quello più giovane – non si sarebbe rivelato il chief executive ideale di un gruppo protagonista e frutto di una crescita serratissima come Intesa Sanpaolo. Se il brillante amministratore delegato e poi magi strale presidente di una “banca d’in teresse nazionale” controllata dall’Iri, non avrebbe potuto esprimersi al me glio anche in una “banca di sistema” controllata dalle Fondazioni.

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