SPIRITO di VINO - Gennaio / Febbraio 2025

POGGIO AI CHIARI È UN NOME BELLISSIMO, AEREO E QUASI IMPALPABILE, DI CERTO INEFFABILE, COME I VINI CHE BATTEZZA

utilizziamo tutti con disinvol tura, ma che solo in quegli anni comincia ad avere una significativa circuitazione grazie anche ai meravigliosi libri di Edward O. Wilson e all’inaggirabile emergenza ambientale. E si delinea un patrimonio di ben 28 diver si cloni di Sangiovese, alcuni dei quali su piede franco, la cui compatibilità è la prima scommessa del progetto Pog gio ai Chiari, varato con la vendemmia 1992. Al contrario della nozione di biodiversità, la cui attestazio ne è abbastanza recente, «i chiari» è una locuzione plu risecolare, documentata an che in letteratura (in Seneca e Leonardo, tra gli altri) a indicare gli specchi d’acqua, e riferita qui ai diversi bacini lacustri a valle della tenuta: il lago di Chiusi, quello di Mon tepulciano e il Trasimeno, su cui si affacciano i vigneti. È un nome bellissimo, di rara suggestione evocativa, aereo e quasi impalpabile nella sua luminosa (in)consisten za. Ma è anche una specie di ossimoro se riferito a un rosso non filtrato, dalla per sonalità cangiante, lento nel prendere forma e indirizzato alla tridimensionalità da un lungo e metamorfico éleva ge: 5/6 anni di maturazione in botte grande, più altri 5/6 anni di affinamento in botti glia (la più recente annata in commercio è oggi la 2014, il conto è presto fatto). La verticale allestita in occa sione della nostra visita ha offerto un’affascinante se quenza, e tanti argomenti uti

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li a smontare i luoghi comu ni più tenaci. Ecco la 1994, vendemmia piuttosto medio cre un po’ ovunque, che qui propizia un sorso dinamico, vispo e un finale rinfrescante. Ed ecco la 2002, vendemmia piovosa e problematica se ce n’è una, tra le prime seguite da Emiliano Falsini, che af fianca e poi rimpiazza Attilio Pagli nel ruolo di consulente: il vino è integro e compatto, tutt’altro che diluito, tra i più tonici dell’intero lotto. Segnata dalla riduzione la versione 2010, annata iper celebrata che qui va invece letta in chiaroscuro: c’è biso gno di un’energica aerazione

prima che il palato ritrovi la scioltezza e l’armonia che gli competono. Così come om brosa e ritrosa si nasconde la 2013, capace però di riscat tare la reticenza dei profumi con una succosa e saporita ac celerazione da centro-bocca in avanti. Anche le annate più recenti e non ancora in commercio sono proprio lì dove non te le aspetti: così la 2016, l’esatto contrario di un rosso seduttivo e piacione, con il suo corredo di erbe of ficinali che escono fuori alla distanza; e così anche la 2018, molto più espressiva e cen trata sul frutto. Alla fine del viaggio, il Poggio ai Chiari di

Fabio Cenni si è rivelato un Sangiovese che ogni appas sionato dovrebbe assaggiare almeno una volta nella vita. Un vino di spiazzante vitalità, che qualcuno potrebbe ma gari azzardarsi a ricondurre di volta in volta all’espressivi tà di un Chianti Classico, di un Brunello, di un Nobile, ma che invece non vuole as somigliare a nessuno. Il che contribuisce a farne il vino più territoriale e identitario tra quelli realizzati a Santa Mustìola, a patto però di in tendere identitario nell’uni ca accezione sensata di un’in quieta fedeltà alle origini. Plurali, qui più che altrove.

Sopra la villa padronale con camere per l’accoglienza. A fianco, dall’alto, l’insegna dell’azienda; Monica Del Re, Fabio Cenni e la loro Schnauzer Odessa; dalla verticale di Poggio ai Chiari le annate (da sinistra) 1994, 2004, 2010, 2013 ora in commercio, anteprima 2016, 2017, 2018, per un Sangiovese ambizioso con le piccole annate calzanti complice la lenta maturazione di 78 mesi in barrique di rovere francese e le botti di rovere di Slovenia da 20/30 hl, L’Oreus e Vin Santo Toscano (poggioaichiari.it).

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