Investire - Febbraio 2024

TERZA REPUBBLICA

LE REGIONI HANNO FALLITO, SERVE UN SISTEMA DI MACRO-PROVINCE

È curioso che il primo dei quattro lunghi passi parlamentari (più eventuale re ferendum confermativo) che la riforma costituzionale denominata “autonomia differenziata” ha compiuto, abbia visto favorevoli coloro che furono contrari, nel 2001, alla modifica del Titolo V della Costituzione – che della legge Calderoli è diretta genitrice – e contrari coloro che quella sciagurata riforma vollero (nel tentativo, inutile, di sganciare Umberto Bossi dall’alleanza con Silvio Berlusconi ). Ma ciò che ancor più fa girare le scatole è che il tutto avvenga senza uno straccio di discussione non solo sugli esiti prodotti da quella modifica del titolo V, ma neanche più in generale su quale sia lo stato di salute del nostro decentramento amministrativo e di conseguenza su quale debba essere il rapporto tra Stato Centrale ed enti locali, soprattutto in relazione a competen ze come istruzione, trasporti, ambiente, energia e commercio estero (la Calderoli permetterebbe alle Regioni di chiederne la gestione, mentre ora queste materie oggi di esclusiva pertinenza dello Stato). Per esempio, si può accentuare i tratti del nostro re gionalismo senza fare il tagliando alle Regioni dopo oltre mezzo secolo (era il 1970) dalla loro entrata in funzione? Se lo si facesse senza preconcetti, si sarebbe costretti a dire che in 54 anni le cose non sono andate benissimo. Prendete il trasferimento della gestione della sanità alle Regioni . Da allo

tare le gestioni clientelari delle Asl – nomine, acqui sti, appalti – e i servizi che sono peggiorati. Non è un caso che nel corso degli anni siano state ben sei le Regioni commissariate. E anche dove la sanità era ritenuta un’eccellenza, come la Lombardia, durante la pandemia sono emersi tutti i difetti del sistema, a partire da una totale mancanza di presidio del terri torio. Se invece che sul passato la diagnosi si rivolge al presente non va certo meglio. Il Pnrr presenta di verse innumerevoli difficoltà, ma forse l’ostacolo maggiore è nell’incapacità degli enti locali di scri vere i progetti, reperire il personale, passare all’at tuazione e soprattutto individuare le priorità . D’altra parte, l’architettura amministrativa locale che abbiamo costruito è decisamente pletorica: 20 re gioni, di cui 5 a statuto speciale, 110 province (già, ci sono ancora, abbiamo solo fatto finta di abolirle e hanno conservato la competenza su 130 mila chilo metri di strade e 5.100 edifici scolastici), 14 Città Me tropolitane, 7.896 Comuni, di cui il 70% sotto i 5 mila abitanti, cui si aggiungono una miriade di soggetti amministrativi di secondo, terzo grado e così via. Un sistema farraginoso, costoso e inefficiente fino all’immobilismo. Ma non basta di no all’autonomia differenziata proposta dalla Lega. Occorre comunque controriformare il titolo V, e rivedere con coraggio l’inte ra architettura del decentramento. Come? Prendendo atto del fallimento delle Re gioni, le si abolisca – ricentralizzando la sanità, che ha bisogno di tornare un sistema naziona le - e al loro posto, e a quello delle attuali Pro vince, si creino delle macro-Province (la Società Geografica propone 36 dipartimenti provinciali, ma non sarebbe scandaloso se arrivassero fino a 50), istituzioni che facciano da cuscinetto tra i Comuni e lo Stato. E questo nell’ambito di una più amplia sem plificazione, ottenibile indicando in 5 mila abitanti la soglia minima per i Comuni e rivedendo le istituzio ni di grado inferiore, cominciando dalle comunità montane piazzate al mare. Questa sarebbe una vera contro-riforma, in grado di invertire la degene razione autonomistica, l’ubriacatura federalistica di cui ci siamo imbevuti per anni, pagandone tra l’altro un conto salato. (twitter@ecisnetto)

È un editorialista, economista, imprendito re, ideatore e condutto re del format web War Room. È conferenziere, Enrico Cisnetto

consulente politico strategico e tifoso della Sampdoria

La Società Geografica propone 36 dipartimenti provinciali al posto delle 20 regioni

ra si sono creati 20 sistemi sanitari diversi che hanno messo a repentaglio il det tato costituzionale che tutela l’uguaglianza dei cittadini. Tanto è vero che assistiamo a un fenomeno atroce per chi lo vive, e complicato per chi lo deve erogare, come il “tu rismo sanitario” . La spesa sanitaria poi, che copre oltre i tre quarti dei bilanci regionali, è passata dai 42 miliardi del 1990, ai 60 del 2000, fino ai circa 135 attuali. Senza con

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